Ma, a ben vedere, se Sermoneta, grazie al celebre, multidecennale Festival Pontino, significa oggi soprattutto musica, a questo registro armonico non si arresta. Anche l’arte è qui di casa: la patria di Girolamo Siciolante e di Antonio Cavallucci, interpreta una tradizione pittorica di forte richiamo testimoniata, su coordinate alte, dalla stessa chiesa di san Michele Arcangelo, che ospita la nostra mostra, con affreschi che spaziano dal XIII al XVII secolo. Non solo: da Sermoneta lo sguardo inquadra, come ideale estensione dell’antico abitato, orizzonti amplissimi che vanno dal Circeo, al mare, al territorio pontino, un tempo consegnato alla palude, alla malaria, ad un fascino potente ed esiziale. Territorio che a partire dal secondo Settecento, costituiva un’anomala tappa del Grand Tour, come testimoniano pittori di mezza Europa».
I sei pittori che espongono sono noti al mondo dell’arte. A cominciare da Rosetta Acerbi, tramite privilegiato tra la dimensione della pittura e quella della musica, vedova di Goffredo Petrassi, Presidente onorario del Festival Pontino, che ha avuto con il pubblico pontino un rapporto affettivo e privilegiato protrattosi per circa trent’anni. Il Campus ha avuto l’onore di godere della sua stima, dei suoi suggerimenti e della sua autorevole presenza in tutte le iniziative di musica nuova, in particolar modo nella cura che svolse, a partire dal 1977 fino alla morte avvenuta nel 2003, nell’organizzare gli Incontri Internazionali di Musica Contemporanea. Rosetta Acerbi ha, dunque, risentito di quest’eco musicale e il Festival pontino rende così omaggio a lei e all’illustre compositore. La pittrice ha cominciato a dipingere giovanissima ottenendo il consenso dei più qualificati ambienti artistici. Dopo un breve periodo di interesse per la pittura astratta, è adesso esponente fra i più apprezzati di una ricerca figurativa, legata ad una sottile indagine psicologica, che si avvale dell’esperienza onirica e del recupero di simboli archetipi e di miti antichi. I suoi due dipinti esposti, il San Sebastiano e Il Messaggero (una sorta di singolare figura angelica), oltre ad interpretare pienamente la sigla della mostra, vivono in un contesto di diafano misticismo venato di sensualità estenuata.
Carlo Bertocci è, a partire dagli anni Ottanta, uno dei protagonisti italiani della riscoperta pittura d’immagine; ed è un vero virtuoso del disegno. In questa occasione, anch’egli ha voluto testimoniare un suo singolare omaggio alla musica, in un’atmosfera che sa di incantesimo e di armonia. Basti pensare alle conchiglie sonore del dipinto esposto, Il coro. L’altra opera, Il sogno di J. C., è poi un omaggio, appena velato dalle iniziali, a John Cage, il celebre compositore che una curiosa vicenda ai tempi di “Lascia o raddoppia” ha legato al nome di questo pittore.
Per Leonardo Caboni la pittura, accuratissima in quanto ad elaborazione tecnica, deve proporre dei misteri all’osservatore; deve saper inoculare il rovello dell’inquietudine e del disagio intellettuale. Si pensi ai due dipinti che si esibiscono in mostra, a Colle Mannaro, silenziosa inquadratura notturna, e a Sortilegio, in cui l’immagine di Federico II, stupor mundi, dal dossale aulico di una fontana sembra riflettersi in una prosastica rana: forse eco della fiaba del principe e del ranocchio, o forse suggestione di qualche cabala alchemica.
Marco Calì ha voluto restare invece legato al luogo fisico della mostra. L’antico centro di Sermoneta e la Chiesa di San Michele, figurano infatti nella sua tela omonima.
Massimo Livadiotti, nato in Libia, lega la sua opera a un oriente tanto prossimo geograficamente alle nostre coste, quanto ancora carico di suggestioni e di mistero. Di questo registro della sua pittura è testimonianza eloquente Il maestro di Algebra, ritratto di un vecchio arabo.
Claudio Sciascia si colloca in un contesto che può ben dirsi surreale: la qualità pittorica ricercata, attenta al museo e al contesto geografico, al punto di non sottrarsi all’impiego delle citazioni, va di pari passo con lo stravolgimento del senso comune. Di lui due opere: Alla luna in cui è la più celebre delle maschere partenopee, Pulcinella, a farsi carico di tutto l’ancestrale carico di ambiguità e di irrisione e Il silenzio inesorabile del tempo, che è una citazione palazzeschiana. La mostra, ad ingresso libero, rimarrà aperta fino al 31 luglio ogni sabato e domenica (orario 9-19)
In serata, alle ore 21 ci si sposta al Castello di Sermoneta, dove il Festival Pontino propone, in collaborazione con il Teatro San Carlo di Napoli, il concerto del Quartetto d’Archi del Teatro, formato da Cecilia Laca e Luigi Buonomo violini, Antonio Bossone viola e Luca Signorini violoncello. Programma interamente dedicato al Novecento con Langsamer Satz di Webern, il Quartetto n. 8 di ŠostakoviÄ e di Ravel il Quartetto in fa maggiore.
Scritta nel giugno del 1905, Langsamer Satz (Movimento lento) è una composizione che risente ancora molto dei maestri particolarmente amati da Schoenberg, insegnante e presenza determinante, almeno fino al 1908, per Webern, allora poco più che ventenne: per questo sono percepibili echi di Brahms, portato spesso ad esempio nel corso delle lezioni, Mahler e una reminescenza del Tristano e Isotta di Wagner. Un mondo verso la sua fine si agita nel post-romanticismo che denota tutta la scrittura di Webern di questo periodo giovanile, con una ridda di emozioni che, in questo quartetto, dall’iniziale tormento approdano ad una finale e formale tranquillità.
Che, invece, è assente nel Quartetto n. 8 op. 110 di ŠostakoviÄ, dedicato “Alle vittime del fascismo e della guerra”, scritto a Dresda nel luglio del 1960, città rasa al suolo nel corso del Secondo conflitto mondiale, una devastazione che segnò profondamente la scrittura di quest’opera, contraddistinta da numerose autocitazioni e, appunto, da una particolare tensione drammatica. Alla quale ŠostakoviÄ fu legato tutta la vita, tanto da essere scelta per accompagnarne i funerali, nel 1975.
Infine, il Quartetto di Ravel segna il suo debutto nella musica da camera. Dedicato “Al mio caro amico Gabriel Fauré”, è già segnato dalla forte personalità dell’autore. Scritto nei primi mesi del 1903, viene descritto con queste parole da Marcel Marnat, uno dei più autorevoli studiosi dell’opera raveliana: “Per la sua fermezza risoluta e la sua luminosità adolescenziale, il Quartetto si offre a noi come uno dei semi di questa inesorabile evoluzione, conservando la preoccupazione d’essere fluido senza un’ aria filacciosa, stabile senza essere brutale né semplicistico, insomma il segno di una nuova svolta nella vita”. Un Ravel, dunque, tutto da scoprire e che pone, con il suo lirismo e i suoi colori, il suggello della dolcezza.
PROGRAMMA DI GIOVEDI’ 14 LUGLIO
ore 18.00- Sermoneta, ex Chiesa di San Michele Arcangelo
inaugurazione della mostra Simbolo, sogno, mistero a cura di Carlo Fabrizio Carli
ore 21 – Sermoneta, Castello Caetani
in collaborazione con il Teatro San Carlo di Napoli
Quartetto d’archi del Teatro San Carlo
Cecilia Laca, violino
Luigi Buonomo, violino
Antonio Bossone, viola
Luca Signorini, violoncello
A. Webern, Langsamer Satz WoO 6
D. ŠostakoviÄ, Quartetto n. 8 in Do minore op.110
M. Ravel, Quartetto in Fa maggiore
Info: Fondazione Campus Internazionale di Musica, Via Varsavia, 31 – 04100 Latina, tel. 0773 605551 – 605550, www.campusmusica.it; [email protected]. Biglietti: intero 15€; ridotto 10€ (over 65, under 25, insegnanti, beneficiari di convenzioni), ridotto 8€ (riservato ai titolari di campuscard), ingresso coppia 20€; studenti conservatorio e licei musicali 2€. La mostra, ad ingresso libero, rimarrà aperta fino al 31 luglio ogni sabato e domenica (orario 9-19)