L’attenta disamina dei giudici contabili contesta diverse irregolarità finanziario-contabili” su 5 aspetti: garanzie date alla Capo d’Anzio in violazione della legge e della Costituzione; troppe anticipazioni di cassa; scarsa capacità di riscuotere i tributi locali (Tarsu e Tares); troppi residui passivi, ossia i debiti vecchi trascinati nei bilanci successivi; mancati pagamenti per almeno il 90% degli spazi finanziari richiesti e concessi.
FIDEJUSSIONE CAPO D’ANZIO NEL MIRINO
In particolare, le censure giudiziarie vertono in modo sferzante – con tanto di “pronuncia specifica di grave irregolarità” – sulla garanzia finanziaria pagata dall’Amministrazione Bruschini a favore della Capo d’Anzio per non far affondare il progetto del nuovo porto. Si tratta della fidejussione di quasi 518mila euro anticipati dal Comune ad ottobre 2012 per pagare l’imposta di registro, necessaria ad ottenere il rilascio della concessione demaniale marittima da parte della Regione Lazio. Sì perché per il monumentale affare da 194 milioni di euro, la Spa partecipata al 61% dall’Ente non aveva soldi per questo indispensabile pagamento. Un affare per il quale erano già stati spesi circa 3,2 milioni di euro solo per studi e progetti.
Sul punto, l’Ente guidato da Luciano Bruschini ha in buona sostanza confermato le proprie scelte rispondendo ai giudici che quei soldi – quasi 518mila euro – potevano spenderli per pagare una garanzia bancaria e che ha adottato le misure correttive ingiunte dalla Corte dei Conti. Il 2 febbraio scorso, spiegano le controdeduzioni firmate da Luciano Bruschini in data “marzo 2016” (senza giorno), “il Comune di Anzio ha intimato formalmente alla Capo d’Anzio Spa la restituzione di euro 517.798 oggetto della fidejussione. A sua volta la Capo d’Anzio Spa ha formalmente risposto e confermato di aver già inserito la somma versata da questa Amministrazione pari ad € 517.798 tra i debiti presenti nel bilancio al 31/12/2015, approvato dal Consiglio di Amministrazione della Società in data 9/3/2016”.
PER I GIUDICI SPESA VIETATA
La Corte dei Conti ha inoltre bacchettato il Municipio neroniano anche per non aver evidenziato quell’uscita di denaro nei conti d’ordine del bilancio comunale e per la ritenuta poca prudenza amministrativa, visto che non hanno accantonato risorse per neutralizzare eventuali squilibri causati dall’escussione, ossia dalla riappropriazione della somma da parte della banca che in effetti a fine 2015 si è ripresa i soldi prestati al Comune. Ma, secondo i giudici, la Capo d’Anzio non poteva ricevere quei soldi dal Comune anche perché – sempre secondo la Corte dei Conti – lo vieta il decreto legge n. 78 del 2010 secondo cui non si possono ripianare i debiti, non possono essere dati soldi, né rilasciate garanzie a favore di società partecipate che hanno chiuso gli ultimi tre bilanci in perdita. E la Capo d’Anzio rientrava in questo identikit. Inoltre, precisavano i giudici, l’operazione dell’Amministrazione Bruschini avrebbe violato anche la Costituzione della Repubblica, laddove all’articolo 119 vieta agli Enti locali di finanziarie operazioni che non siano strettamente veri e propri investimenti.
Cosa che avrebbero invece fatto Bruschini e i suoi assessori, col voto del Consiglio comunale, pagando quell’imposta di registro a favore della Capo d’Anzio, “in violazione della normativa” e ciò “può rappresentare causa di danno erariale”. Così scrivono i magistrati.
IL COMUNE INSISTE: SI POTEVA FARE
Il Comune risponde invece che potevano concedere la fidejussione “aderendo ad una delle possibili e legittime interpretazioni della complessa normativa”, nella convinzione che si tratta di investimento e che le perdite della Capo d’Anzio “non sono la conseguenza di una situazione di dissesti finanziario” ma “frutto di una programmazione e valutazione dei costi di gestione” in vista dello start up, cioè l’avvio… dopo oltre 10 anni dall’inizio della vicenda del nuovo porto.
E poi, dice il Comune a ulteriore giustificazione della fidejussione concessa a favore di Capo d’Anzio Spa, “il mancato pagamento dell’imposta di registro (per la quale l’Ente ha anticipato € 517.798, ndr) avrebbe determinato, questa volta sì, un danno erariale a carico di tutta la collettività, anche solo per il fatto che alla data del ritiro della concessione erano stati già investiti circa € 3.200.000 (61% dal Comune e 39% dal socio privato) per studi e progetti.
Restano aperte diverse questioni, anche politiche. Soprattutto, come afferma il Consigliere comunale Ivano Bernardone molto attivo sulla vicenda, «nessuno spiega come intendono superare le difficoltà finanziarie della Capo d’Anzio e quindi conservare la partecipazione pubblica nella società».
Da una fase zero, che prevede “inevitabilmente nei primi anni di attività della società esercizi in perdita”, nel futuro della Capo d’Anzio “si realizzerà una progressiva e significativa remuneratività dei conti della società che si traduce in acquisizione di valore per il Comune e per la collettività tutta”. Così dice la relazione con cui il Comune di Anzio risponde alla Corte dei conti. Ecco le mosse annunciate ai Giudici per la fase zero, in via di realizzazione: “immediata messa in operatività dell’esistente con alcuni interventi preordinati alla messa a reddito di 154 posti barca” e investimento da 600mila euro per attrezzare gli ormeggi, impianti e arredo urbano.