Tra l’altro, quello del segretario pometino del PD e del suo entourage pare sia stato un vero e proprio colpo a sorpresa nei confronti di una parte ben precisa del partito. La comunicazione della riunione del direttivo Democratico sarebbe arrivata ad alcuni appena due ore prima dell’inizio dell’assemblea, e senza che il documento che si sarebbe andati a votare venisse inviato a coloro che, poi, dovevano esprimersi in merito. Nonostante ciò, le poche righe che hanno sancito il tentativo di estromettere la vecchia guardia è stato accolto quasi all’unanimità: tutti hanno votato a favore (persino l’attuale consigliere Battistelli, che fa parte di quelli che secondo Mengozzi non dovrebbero più ricandidarsi), tranne Antonio Barbieri ed Edgardo Cenacchi, che si sono astenuti, e l’avvocato Francesco Falco, che ha votato contro lamentando, tra l’altro, una presunta estromissione dalla segreteria di cui prima faceva parte. Non è dato sapere come si sarebbe espresso Schiumarini, che non è membro del direttivo e che quindi non avrebbe avuto diritto di voto, ma che comunque era assente alla riunione.
Detto ciò, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. O meglio: ci sono altri due anni prima della scadenza elettorale del 2018. Se da una parte Mengozzi ha voluto dimostrare di essere in grado di portare dalla propria parte un direttivo intero e se, da quanto risulta, l’ala mengozziana può vantare la maggioranza delle (poche) tessere annuali di partito, resta il fatto che dall’altra parte ci sono soggetti che portano con sé una “dote” elettorale non indifferente. Politici che alle urne sono (o forse erano) in grado di portare diverse centinaia di voti. E si sa che a livello locale è il radicamento sul territorio, che conta. È questo l’elemento che probabilmente spinge alcuni a ostentare tranquillità: i mengozziani possono anche mettere nero su bianco la volontà di rinnovare completamente i volti del partito, ma è nel prossimo Congresso che si vedranno i veri rapporti di forza.
“Sia chiaro, abbiamo bisogno di tutti – ha scritto Mengozzi nel documento approvato dal direttivo – Ma dobbiamo anche acquisire la consapevolezza di non essere eterni. Al partito serve una nuova classe dirigente per non ripetere gli errori del passato, che ci hanno portato in questa situazione. Una nuova classe dirigente e di amministratori, vogliamo sottolinearlo, è oggi l’unico modo per giocare la partita delle future elezioni. Per vincerla, questa partita, non basteranno solo facce nuove ma un nuovo modello di governo della città”.
Ma la vecchia guardia se ne starà buona, confidando negli eventi? O forse proverà a rimettere al suo posto il segretario? Una possibilità potrebbe essere quella di coinvolgere il livello provinciale del Partito Democratico: denunciare quindi il “blitzkrieg” di ieri, presentandolo come il tentativo dei mengozziani di creare una forzatura per spaccare il partito. Lamentare il mancato preavviso e chiedere di ripristinare metodi più “democratici”. Ma l’operazione potrebbe non essere facilissima, visto il fatto che quasi tutto il direttivo ha votato a favore per il documento presentato.
È in corso il primo tentativo di dare scacco matto? E chi è che tiene in mano davvero la partita?