Nello stesso comunicato inoltre la società afferma che: “Nel corso dei sondaggi esplorativi sul terreno previsti dal piano di caratterizzazione sono state localizzate nell’area di pertinenza della centrale tre zone con materiali interrati di origine antropica (rottami metallici, materiali da demolizione, imballaggi plastici, rifiuti generici assimilabili a quelli urbani).” Ma dopo aver affermato che l’origine della contaminazione è “ad oggi ancora ignota”, specificando che “il sito è da considerarsi come non contaminato in linea con quanto previsto dal D.Lgs. 152/2006” (Codice Ambientale, ndr), il medesimo comunicato termina in questo modo: “In ogni caso, Sogin ha già avviato le operazioni di rimozione dei materiali interrati rinvenuti nell’area di proprietà e ribadisce che la presenza di cloruro di vinile nelle acque di falda non dipende in alcun modo dalle attività in corso presso la centrale.”
La cosa ci conforta perché anche noi siamo a conoscenza, non da ieri, del fatto che questa sostanza è estranea ai processi legati al decommissioning della centrale: ma allora come ci è arrivato fin lì il cloruro di vinile, visto che l’unica fonte di inquinamento accertato in zona, la discarica di Borgo Montello, si trova a chilometri di distanza?
E poi di quali “materiali interrati” si parla? Per caso di quelli sepolti nei paraggi durante i primi anni di funzionamento della centrale?
Da quasi otto anni questo giornale è particolarmente interessato a ricevere risposte direttamente da questa società pubblica, ma ad oggi non le ha ancora ricevute. La data precisa è quella dell’8 maggio 2008, quando alla nostra redazione arrivò la telefonata di un referente della Sogin particolarmente infuriato. Minacciò azioni “forti” rispetto a quanto aveva appena pubblicato il nostro giornale: un servizio e delle foto di una discarica palesemente abusiva (il materiale era in evidente stato di abbandono) situata a poche decine di metri dalla vecchia centrale e dal reattore CIRENE.
Nelle foto erano ben visibili immagini di rifiuti ferrosi, in particolare bidoni corrosi dalla ruggine, sacchi neri per l’immondizia pieni di non si sa che cosa, pezzi di tubi di ferro e altro. C’era anche un cartello riportante due scritte: “Attenzione” e “Deposito provvisorio di rifiuti speciali non pericolosi”. Tutt’intorno vi erano anche dei sanitari per bagno (lavandini, tazze, ecc.), blocchi di cemento, tubi flessibili di plastica e persino un gigantesca torre metallica che un tempo fungeva da palo per l’illuminazione. Il tutto era celato alla vista dal bosco di eucaliptus che tutt’oggi circonda il sito dal lato mare.
Il nostro articolo preannunciava anche il fatto che l’incursione sarebbe stata trasmessa dopo pochi giorni all’interno del programma televisivo “Exit”, in onda su LA 7 e condotto da Ilaria D’Amico.
Per tutta risposta la Sogin contattò la società che all’epoca produceva quella trasmissione, rappresentando il fatto che per esigenze di “sicurezza nazionale” avrebbe dovuto chiedere il sequestro preventivo dell’intero programma preregistrato, nel caso fosse andato in onda il servizio su Borgo Sabotino. La “richiesta” (chiamiamola eufemisticamente così) fu accolta. Fatto sta che appena un mese dopo noi siamo tornati sul posto ed abbiamo riscontrato che nel frattempo la discarica abusiva era stata fatta sparire. Dove siano finiti i materiali precedentemente abbandonati sul posto lo sanno solo quelli della Sogin. Pensare poi che qualcuno abbia fatto delle analisi su quei terreni, magari la stessa ASL locale che ci ha messo due anni nel chiedere al Commissario Barbato di emettere l’ordinanza dei giorni scorsi (l’inquinamento, come dice lo stesso comunicato della Sogin, era noto dalla fine del 2013), è un esercizio perfettamente inutile. Con ulteriori successivi blitz abbiamo infine appurato, come se tutto ciò non fosse già abbastanza, che gli stessi terreni erano poi stati utilizzati per collocarvi la terra di scavo e di riporto per la realizzazione del cosiddetto deposito temporaneo delle scorie. Un’altra vicenda rispetto alla quale Sogin non ha ancora chiarito come sono andate le cose, mentre nel frattempo continua a spiegarci, come in questo caso specifico, che è tutto a posto, salvo poi minacciare “azioni forti” quando i giornalisti vanno a controllare.