QUERELE E CONTROQUERELE
I due rappresentanti della stampa locale, nel corso della stessa udienza, hanno depositato al giudice una istanza in cui chiedono di condannare il presidente della società municipalizzata a risarcirli per una somma pari a 600mila euro per averli temerariamente querelati, impegnandosi già da ora a devolvere questi soldi a sostegno di bambini e famiglie bisognose e per migliorare il decoro urbano di Velletri. Inoltre, nel caso in cui la mediazione non dovesse risolversi per il meglio, hanno già annunciato che sono pronti a depositare in Procura una querela penale per calunnia, visto che ritengono di essere stati accusati ingiustamente e senza fondato motivo.
ARTICOLO SU ASSUNZIONI E VOTI DI SCAMBIO
Nel luglio 2015, i due cronisti pubblicarono su “Velletri Oggi” un comunicato stampa dei Carabinieri di Castel Gandolfo che dava conto di due perquisizioni, disposte dalla Procura di Velletri, da loro eseguite ai “danni” di sedi ubicate nei Castelli romani di una società municipalizzata, nel corso di indagini relative ad una presunta ipotesi di “concorso in corruzione elettorale”. A detta degli inquirenti, sarebbe stato garantito un posto di lavoro nella stessa società a 40 parenti ed amici di persone poi candidate in una lista civica: inchiesta tutt’ora in corso. Secondo il querelante la “colpa” dei giornalisti sarebbe stata quella di aver inserito, accanto all’articolo, la sua foto con sotto scritto nome, cognome e carica nella società indagata. Eppure è una consuetudine giornalistica largamente diffusa quella di pubblicare la foto del presidente di una società sottoposta a iniziative giudiziarie di questa portata. Immaginata, ad esempio, se su un articolo di una inchiesta giudiziaria su Mediaset si venga accusati di aver messo una foto di Berlusconi.
QUERELA: UN DIRITTO, NON UN MEZZO PER INTIMIDIRE
Certo la querela per diffamazione a mezzo stampa è un sacrosanto diritto di chi si ritenga leso, ma non si può negare che troppo spesso viene utilizzata invece come strumento d’intimidazione per zittire o colpire chi svolge un lavoro giornalistico, che ha come unico scopo quello di informare il pubblico. Per questo, sempre più spesso oggi gli stessi magistrati finiscono per incriminare per calunnia chi presenta denunce non fondate su motivi seri e rigorosi. Insomma, amanti della querela facile state attenti, perché i tempi sono cambiati!
La mediazione preventiva è obbligatoria, grazie alla legge n.28 del 2010, nei casi di richieste di risarcimento danni in materia di: condominio, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria, contratti assicurativi, bancari e finanziari e, per finire, per la diffamazione stampa o con altro mezzo di pubblicità. Prima di agire in giudizio per chiedere un risarcimento, si ha l’obbligo di tentare la mediazione, con l’assistenza di un avvocato o davanti al giudice.
Chi querela un giornale per tentare in questo modo di tappargli la bocca o anche solo per una sorta di punizione, al momento della sentenza può subire lui (il querelante) una dura condanna. Questo in base alle recenti norme introdotte con l’art.96 del Codice di Procedura Civile. Il giudice Roberto Bichi, presidente della prima sezione del Tribunale Civile di Milano, ha dichiarato che, anche in base a quanto stabilito da una sentenza della Cassazione del 2010, al momento di pronunciare il giudizio l’accusatore può essere condannato a risarcire le spese legali e anche, in aggiunta, una somma di “risarcimento sanzionatorio” da versare a chi era stato ingiustamente accusato. Una norma che ha lo sopo “di evitare l’abuso del diritto processuale – dice Bichi – e che vuole in qualche modo sanzionare chi ha provocato ingiustamente la sofferenza derivante dalla pendenza di un procedimento giudiziario”. Con la ‘querela’ facile, ora potrebbero essere le redazioni ad arricchirsi.