Spesso nell’aria che respiriamo le concentrazioni di inquinanti superano i limiti di legge. Lo documenta l’ultimo “Monitoraggio della Qualità dell’Aria” dell’Arpa Lazio, l’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale, relativo al 2014 e parte del 2015. Si tratta del PM-10, un pulviscolo microscopico, del diossido di azoto e dell’ozono, due gas incolori e inodori. Sostanze particolarmente “pericolose e tossiche – spiega l’Arpa – per la salute umana e per l’ambiente”. Lo Stato ammette anche un numero di superamenti annui e giornalieri dei valori massimi, i cosiddetti “sforamenti legali”, ma in alcuni casi l’Arpa rileva superamenti anche di oltre il doppio.
SFORAMENTI DAI CASTELLI AL LITORALE FINO AL CIRCEO
Aria ammorbata non solo a Roma e nelle grandi città, ma anche in molti Comuni dei Castelli Romani, del litorale a sud di Roma e dell’area pontina: Albano, Ariccia, Castel Gandolfo, Ciampino, Frascati, Marino, Genzano, Nemi e Velletri. E, ancora: Cisterna di Latina, Anzio, Aprilia, Ardea, Nettuno, Pomezia, Latina, passando per i paesi dei Monti Lepini fino a Sabaudia, Sperlonga…
SOLO AUTO E CAMINI?
Ma chi sono i responsabili di tale inquinamento? A leggere il rapporto di Arpa Lazio sembra quasi un mistero. E sul suo sito internet, l’Agenzia incaricata di vegliare e informarci su ambiente e salute pubblica spiega che la colpa è dei “processi di combustione e, nelle aree urbane, dei gas di scarico delle automobili e del riscaldamento domestico”. Tutto qui. Ma a ben vedere targhe alterne, interruzione del traffico, divieto di accensione dei camini e limitazione del riscaldamento domestico risultano provvedimenti insufficienti a garantire aria più pulita. Dunque c’è altro che ammorba l’aria. Perché si parla di “combustione” senza specificare se si tratta di fabbriche, inceneritori, fonderie, girarrosto? Costa poi tanto esplicitare che si tratta anche di inceneritori, centrali turbogas e a carbone e altri impianti che si fregiano del prefisso “bio”? L’Arpa Lazio non parla di acciaierie e raffinerie, che ci sono nel Lazio, né dello smaltimento dei rifiuti urbani. Tutte attività considerate dalla comunità scientifica e dall’Unione europea tra i maggiori responsabili dell’inquinamento atmosferico. Silenzio pure sui cosiddetti “bio”gas e “bio”metano, raccontate anche come impianti a “bio”masse. Fabbriche che estraggono gas dall’immondizia, foraggiate dai sussidi statali, eredi dei nocivi ed antieconomici inceneritori e che stanno letteralmente conquistando i nostri territori soprattutto per accaparrarsi gli incentivi pubblici. Secondo i tecnici di associazioni e comitati territoriali, immetterebbero nell’aria sostanze inquinanti.
IN ALTRE REGIONI ‘BIO’GAS NEL MIRINO. QUI SI TACE
A puntare il dito contro inceneritori, “bio”gas e “bio”metano, non è “solo” il mondo dell’ambientalismo. Ma occorre andare fuori dal Lazio.
A parlare di “bio”masse come fonte di avvelenamento dell’ambiente sono anche le istituzioni sentinelle della salute di altre Regioni italiane, a cominciare da quelle che hanno raggiunto livelli di produttività industriale anche più alti del Lazio. L’Arpa dell’Emilia Romagna indica tra le cause di inquinamento atmosferico “l’incenerimento dei rifiuti urbani” e gli “impianti a biomassa” e sottolinea che “la Regione Emilia Romagna è intervenuta con la delibera n.1495/2011 fissando per gli impianti a biogas limiti di emissione per gli ossidi di azoto e il monossido di carbonio più restrittivi rispetto a quelli nazionali; obbligando il gestore all’adozione di sistemi di abbattimento”. Senza peli sulla lingua anche i chimici dell’Arpa Toscana: “Gli impianti a biomassa possono produrre emissioni solide (particolato e idrocarburi incombusti), liquide e gassose. […] Gli inquinanti emessi sono quelli tipici di ogni processo di combustione: monossido di carbonio (CO), composti organici volatili (COV); ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx), particolato (PM10 e PM2.5) e gas acidi (HCl, H2SO4, HNO3), a seconda delle componenti della biomassa; idrocarburi policiclici aromatici (IPA), diossine e furani (PCDD/PCDF)”.
Anche la Regione Toscana sta predisponendo una norma per imporre ai “bio” gas limiti di emissione più severi. L’Arpa Umbria cita nell’inventario regionale delle attività che inquinano l’aria “l’incenerimento dei rifiuti” e gli “impianti a biogas”.
SI FA FINTA DI NULLA
Nascosti dietro un muro di silenzi, gli amministratori, certi dirigenti e i politici regionali e locali lasciano i soliti e ben noti monopolisti liberi di amministrare i nostri territori. Accade ad Anzio, Pomezia, Ardea, Aprilia e Latina, dove impianti a “bio”gas e “bio”metano spuntano in ogni dove in spregio del “principio di prossimità” dello smaltimento dei rifiuti imposto dalla legge, che impone di mettere gli impianti di trattamento vicino a dove vengono prodotti i rifiuti che trattano. Riceveranno infatti scarti d’ogni genere da ogni dove e persino da altre regioni. Nuove “fabbriche” che non porteranno alla comunità sviluppo e posti di lavoro, ma solo altro inquinamento.
Ma chi amministra, come si dice a Roma, amminestra: alla faccia della qualità dell’aria!
Nei pressi dei siti del Lazio in cui si trattano rifiuti non differenziati, ci si ammala e si muore di più che altrove. A confermarlo è l’Eras Lazio (Epidemiologia, Rifiuti, Ambiente e Salute), il programma epidemiologico che studia lo stato di salute della popolazione residente nei dintorni delle discariche, degli inceneritori, ma anche degli impianti di Trattamento Meccanico Biologico, o TMB, dove la spazzatura indifferenziata viene suddivisa in frazioni minori, sminuzzata, per poi essere avviata all’incenerimento o all’interramento. Invece, i “bio” gas e “bio” metano alimentati a rifiuti inquinano? Prima o poi l’Arpa Lazio dovrà dircelo.