Il prossimo anno, oltre alle elezioni amministrative a Roma e Latina e in altri importanti Comuni del Lazio, probabilmente torneremo a votare per un referendum. Saranno trascorsi 5 anni esatti da quelli del 12 e 13 giugno 2011 con i quali i cittadini italiani hanno votato a favore dell’acqua pubblica, dello stop definito dell’energia nucleare in Italia e della soluzione del conflitto di interessi che ha caratterizzato la politica italiana negli ultimi vent’anni. Sarà di nuovo l’occasione giusta per ristabilire la volontà popolare, così come prevede la Costituzione italiana. Il nuovo referendum, elaborato in sei diversi quesiti, riguarderà un solo tema: la trivellazione delle coste italiane da parte delle multinazionali petrolifere in cerca di qualche goccia di petrolio e qualche metro cubo di gas per continuare ad alimentare il loro business inquinante e destinato a scomparire comunque.
RENZI SBLOCCA TRIVELLE
Questa autorizzazione è stata concessa dal governo Renzi con cinque articoli del cosiddetto “decreto Sviluppo” e con uno del decreto “Sbocca Italia”. Quest’ultimo in realtà mertia ben altro nome – “blocca fonti energetiche rinnovabili” – perché propone ancora una volta il vecchio concetto che le fonti fossili (petrolio, gas e carbone), destinate ad esaurirsi, costerebbero meno delle fonti pulite (solari, eoliche, idroelettriche, geotermiche, ecc.) che per loro natura sono inesauribili. Con le fossili, inoltre, rimane la dipendenza da altri Paesi fornitori. Ma vediamo perché torneremo a votare una volta che la Corte Costituzionale avrà dato il via libera ai quesiti referendari: quello preventivo della Corte di Cassazione è dato per scontato.
SERVI DELLA LOBBY FOSSILE
A depositare i quesiti referendari contro le trivellazioni sono stati i Consigli regionali di dieci Regioni che si affacciano sul mare, guidate da schieramenti di diverso colore: Basilicata (la capofila), Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Le altre cinque Regioni costiere italiane (Toscana, Lazio, Sicilia, Emilia Romagna e Friuli V.G.), tutte guidate dal centro-sinistra, non hanno inteso aderire all’iniziativa per evidenti ragioni politiche. La nostra Regione quindi conferma così la sua storica inclinazione a favore delle lobby dell’energia ‘sporca’: quelle che hanno imposto ai cittadini laziali impianti alimentati con combustibili fossili costosi e inquinanti. Lo dimostra definitivamente un recente rapporto predisposto dal Gestore Nazionale dei Servizi Elettrici su dati forniti da Terna SpA (la società che si occupa della distribuzione e del dispacciamento dell’energia), relativo allo sviluppo delle rinnovabili in Italia fino a tutto il 2013. Gli impianti alimentati da fonti rinnovabili a livello nazionale hanno raggiunto una quota di produzione pari al 40,2% della potenza complessiva installata (circa 50mila MW): cioè più del fabbisogno giornaliero medio dell’intero Paese (circa 44mila MW). Vuol dire che già adesso le rinnovabili basterebbero a produrre l’intero fabbisogno nazionale, sia di giorno che di notte.
LA LINEA RENZUSCONI
È un dato apparentemente incredibile, ma che si scontra frontalmente con la scellerata politica energetica seguita dai governi negli ultimi 15 anni. In Italia, infatti, esiste un surplus di capacità produttiva di energia elettrica pari ormai a quasi due volte e mezzo il suo fabbisogno. Questo soprattutto grazie ad un altro decreto dal nome altisonante, lo “Sblocca centrali”, voluto dal governo Berlusconi nel 2003, il quale ha permesso la costruzione di nuove centrali e la riconversione a gas e a carbone di quelle vecchie alimentate a petrolio. Tutti investimenti che non hanno tenuto in minimo conto le direttive dell’UE nel frattempo emanate per far fronte, tra l’altro, ai cambiamenti climatici in corso: investimenti che noi tutti oggi siamo costretti a pagare con le bollette.
Ma molti si ostinano a dire o credere che la bolletta elettrica sale per colpa degli incentivi alle rinnovabili.
NON RINNOVABILI FUORI MERCATO
Dovendo comunque rispettare gli impegni con l’UE, anche l’Italia ha dovuto avviare politiche di incentivazione delle fonti rinnovabili attraverso i vari “Conto energia”; queste incentivazioni, però, negli ultimi tempi stavano mandando fuori mercato gli impianti alimentati a combustibili fossili, come ad esempio la centrale turbogas di Aprilia e Civitavecchia e quella a carbone sempre di Civitavecchia, e per questo sono intervenuti i vari decreti che prima hanno bloccato lo sviluppo delle rinnovabili ed ora cercano tenere in vita il business perdente delle lobby petrolifere con la trivellazione delle nostre coste.
L’amministrazione Zingaretti sembra allineata e coperta dietro questa logica, ma presto saranno di nuovo i cittadini a dire come la pensano con il voto, ammesso che siano informati della cosa.