Contratto a tutele crescenti
L’ossatura della riforma gira sul contratto a tutele crescenti. In sostanza tutti i nuovi assunti dalle aziende avranno questo tipo di contratto, con le tutele del lavoro e i diritti che aumenteranno in proporzione all’anzianità di servizio.
Tutti i contratti atipici, comprese le collaborazioni coordinate e continuative, dovrebbero essere così superati da questa nuova modalità di assunzione.
Reintegro solo in casi ‘estremi’
Legato a doppio filo alle tutele crescenti c’è la chiacchierata riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il reintegro sul posto di lavoro è previsto solo nei casi di licenziamenti ritenuti dal giudice nulli o discriminatori o legati a “specifiche fattispecie” di quelli disciplinari: per esempio è nullo il licenziamento di una donna in maternità o comminato contestualmente al matrimonio del lavoratore. Il reintegro può essere chiesto anche se il licenziamento viene comminato a voce (per esempio dopo un diverbio il datore di lavoro dice al dipendente «Stai a casa adesso. Ti richiamo io quando serve»). Non sono possibili i licenziamenti discriminatori, per esempio legati a discriminazioni di genere, in base all’età, all’orientamento sessuale, basati sulla disabilità, sulla religione o sulle origini etniche, politiche, sindacali, di lingua o di razza, stato di salute, convinzioni personali o altre caratteristiche fisiche o personali del lavoratore. In questi casi si procede con il reintegro del lavoratore sul posto di lavoro e a un indennizzo che non deve essere inferiore a cinque mensilità. Per le imprese fino a 15 dipendenti l’indennizzo è dimezzato e non può in ogni caso superare il tetto delle sei mensilità.
Cancellata invece la possibilità di reintegro per il licenziamento per giustificato motivo o giusta causa. Nel primo caso si tratta di crisi dell’impresa, cessazione dell’attività, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore. Nel secondo caso parliamo di un lavoratore che mette in atto comportamenti più o meno gravi che interrompono in maniera irreparabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Non è dunque previsto il reintegro anche se risultino illegittimi, ma un indennizzo pari a due mensilità per ogni anno di anzianità, partendo da un minimo di 4 e arrivando a un massimo di 24 mensilità. Il lavoratore che accetta questa transazione offerta dal datore non potrà più fare causa. Solo nel caso in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro al reintegro nel posto di lavoro e al pagamento di un risarcimento. Tra i licenziamenti per giustificato motivo rientrano i licenziamenti economici; che prevedono solo un indennizzo, anche questo a tutele crescenti, cioè legato a quanti anni di anzianità si sono maturati in quell’azienda.
Per i licenziamenti collettivi, quindi la disciplina si estende anche ai casi di crisi aziendali, se il giudice riscontri un vizio di procedura o di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori in uscita scatta l’indennizzo sulla base di due mensilità per anno, con un minimo di 4 mensilità.
Cambio di mansione
La disciplina ha modificato anche le condizioni all’interno dei luoghi di lavoro.
In caso di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale, il passaggio da una mansione all’altra diventa più semplice (con la possibilità anche di demansionamento, ma restando intatti i livelli retributivi).
Disoccupati e licenziati
Un’altra parte sostanziosa del Jobs act è quella che riguarda la disoccupazione. La legge prevede l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione, con competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI (ex indennità di disoccupazione), con il contestuale riordino degli enti operanti nel settore e il rafforzamento dei servizi per l’impiego. L’intenzione è quella di snellire la burocrazia prevedendo l’esclusivo utilizzo delle procedure telematiche.
Il governo ha istituito un Fondo per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria cioè quella che riguarda quei lavoratori che sarebbero disposti a lavorare per il salario corrente o di mercato (avendo ridotto le proprie pretese salariali), ma non riescono a farlo perché la domanda di lavoro da parte delle imprese è già integralmente soddisfatta. Il fondo ammonta a 50 milioni per il 2015 e 20 per il 2016. Il lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo avrà così il diritto a ricevere un voucher, che dovrà presentare presso un’agenzia per il lavoro con la quale sottoscriverà un contratto di ricollocazione. La riscossione del voucher da parte dell’agenzia è subordinata al raggiungimento del risultato (cioè l’esser riuscita a ricollocare il lavoratore).
Ammortizzatori sociali
Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali si mette fine alla possibilità di autorizzare la cassa integrazione in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale. Sono rivisti i limiti di durata del sussidio (adesso il tetto è di due anni per la cassa ordinaria e di quattro per la straordinaria) e sarà prevista una maggiore partecipazione da parte delle aziende che la utilizzano.
E la vecchia indennità di disoccupazione che fine fa? Si chiamerà Naspi, ed entrerà in vigore dal primo maggio 2015. È destinata ai dipendenti del settore privato, a tempo indeterminato e a termine, e a quelli pubblici assunti con contratti a termine. Sarà erogata mensilmente dall’Inps, con un massimo di 1.300 euro lordi al mese per un massimo di 18 mesi e potrà anche essere incassata in una volta sola se finalizzata all’auto-impiego. L’assegno si riduce del 3% ogni mese, ma soltanto a partire dalla quinta mensilità. Per i primi 4 mesi, si ha diritto a ricevere l’intero sussidio. Al termine della Naspi, in alcuni casi (quando il lavoratore ha dei minori a carico o si trova in un’età vicina alla pensione) si avrà anche diritto all’Asdi, indennizzo di durata semestrale e pari al 75% della Naspi.
Per quanto riguarda le lavoratrici in maternità dovrebbe essere introdotta un’indennità di maternità per tutte le donne lavoratrici (non solo quelle con contratto a tempo indeterminato) anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro. Previste anche norme per favorire la conciliazione dei tempi del lavoro con quelli della vita familiare. Il tutto però va dettagliato con i decreti attuativi, che per il momento vanno un po’ a rilento.